giovedì 3 novembre 2011

L'assertività


Con il termine assertività si intende la capacità di esprimere i propri diritti senza calpestare quelli degli altri. Si tratta, in senso lato, di buona comunicazione, ovvero come e cosa evitare, ma soprattutto cosa fare, nel contesto relazionale al fine di far passare un messaggio ad un’altra persona.
Quello che a parole sembra un compito facile è, nella realtà quotidiana, piuttosto arduo e sono rari i casi in cui la comunicazione sia veramente efficace. A complicare le normali interazioni sono una serie di false credenze e di atteggiamenti propri della nostra cultura e di conseguenza condivisi dalla maggior parte delle persone.
Per prima cosa vediamo in dettaglio quali sono i quattro miti definiti da Ellis. Si tratta in generale di credenze radicate nelle persone apprese durante l’educazione familiare.

Il mito della modestia.
Le persone che aderiscono a questo mito ritengono sia sconveniente riconoscere i propri meriti in virtù della modestia. Fanno fatica ad accettare gli elogi anche se meritati e tendono a sminuirsi nelle circostanze in cui questo accade. Nell’incapacità di rispondere verbalmente agli apprezzamenti spostano il piano della discussione sui propri aspetti negativi. Questa dinamica quando reiterata comporta una eccessiva attenzione a ciò che hanno di sbagliato mettendo in risalto proprio queste ultime caratteristiche con conseguenze cognitive di inadeguatezza ed emotive di disagio o disforia.

Il mito dell’ansia.
Queste persone sono letteralmente terrorizzate all’idea che il proprio stato ansioso possa essere manifesto e di conseguenza inteso dagli altri. Porre eccessiva attenzione alle proprie sensazioni somatiche, ad esempio sforzarsi di non arrossire, è un ottimo catalizzatore per l’ansia. L’individuo si trova proiettato in circolo vizioso paradossale in cui l’ansia è mantenuta e incrementata proprio dalla sua volontà di placarla. La conseguenza inevitabile di questa spirale è che lo stato ansioso raggiungerà livelli tali da inficiare concretamente la prestazione. Il fallimento verrà successivamente vissuto come una prova della propria inadeguatezza e darà un ottimo spunto per considerarsi inadeguati.
L’ideale dell’uomo tutto a d’un pezzo insensibile alle lodi e alle critiche non è un modello necessario. Imparare ad ammettere la propria condizione ansiosa serve invece da valvola di sfogo per l’ansia stessa e porta un miglioramento delle performance.

Il mito dell’obbligo.
Queste persone ritengono che sia buona norma non rifiutare mai dei favori a persone a cui si desidera far piacere e allo stesso tempo che sia sconveniente domandare favori per se stessi in quanto, proiettando negli altri il proprio pensiero, pensano che gli altri si sentirebbero obbligati a soddisfare le richieste. Nel primo caso finiscono con il prodigare eccessivo tempo ed energie nella soddisfazione di richieste altrui, fatto che in sé genera frustrazione e porta a pensieri irosi nei confronti del richiedente. Nel secondo caso l’evitare di domandare aiuto porta a un eccessivo dispendio di energie in attività che potrebbero facilmente essere svolte se coadiuvati da altri. Anche in questo caso la persona esce frustrata dalla consapevolezza di non ottimizzare, o sprecare, il proprio tempo.
In generale si crede che l’altro debba magicamente comprendere i nostri bisogni evitando di domandare cose che non abbiamo voglia di fare e/o aiutandoci quando l’aiuto sarebbe opportuno senza che avanziamo richiesta.

Il mito del vero amico.
Queste persone ritengono che debba esistere, e che loro abbiamo, una persona che comprende automaticamente i loro pensieri e bisogni più intimi senza che questi abbiamo la necessità di comunicarli. L’attribuzione di questo dono portentoso genera inevitabilmente rabbia e delusione quando le proprie aspettative vengono tradite. Bisogna tenere fermo in mente che nessuno può leggerci nei pensieri e di conseguenza i propri pensieri, bisogni, voglie, desideri vanno sempre esplicitati. Solo rendendo esplicito l’oggetto si può parlare di esso ed eventualmente avanzare aspettative sui comportamenti altrui.

Un secondo aspetto saliente del relazionarsi con gli altri è la consapevolezza dei propri diritti. In virtù di chissà quali usanze sociali crediamo di essere obbligati ad agire secondo una certa etichetta che si dimostra nei fatti, nociva per la saluta della comunicazione e di conseguenza di noi stessi.
Ecco di seguito i 10 diritti della persona assertiva.
  1. Hai il diritto di giudicare il tuo comportamento, pensieri, emozioni e di assumere la responsabilità per l'iniziativa e le conseguenze su te stesso: noi siamo le persone che meglio di chiunque altra conoscono le ragioni del nostro agire.
  2. Hai il diritto di non offrire ragioni e scuse per giustificare il tuo comportamento: non siamo obbligati a esplicitare agli altri i motivi dei nostri comportamenti, la nostra sfera più intima siamo liberi di condividerla o meno.
  3. Hai il diritto di giudicare se sei in dovere di trovare le soluzioni ai problemi degli altri: nessuno può obbligarci a prestargli aiuto, sarà nostra responsabilità decidere se agire.
  4. Hai il diritto di cambiare le tue opinioni: non si deve confondere la coerenza con la stolidità, nella vita si cambia e per quanto cambiare possa deludere le aspettative degli altri è un nostro diritto farlo.
  5. Hai il diritto di commettere errori e di essere responsabile di essi: possiamo sbagliare purché la responsabilità sia nostra.
  6. Hai il diritto di dire: NON LO SO: non si deve fingere la conoscenza laddove invece ci è più utile mostrare di ignorare qualcosa.
  7. Hai il diritto di essere libero dal giudizio degli altri prima di entrare in relazione con loro: non bisogna farsi influenzare dalla benevolenza che gli altri ci mostrano, la benevolenza e l’impegno profuso per soddisfare le esigenze altrui sono due piani distinti del rapporto.
  8. Hai il diritto di essere irrazionale nel prendere decisioni: è impossibile pretendere di controllare tutte le variabili che concorrono quando si prende una decisione, per questo motivo decidere di scegliere in maniera irrazionale è un diritto.
  9. Hai il diritto di dire: NON CAPISCO: chiedere spiegazioni è di estrema importanza al fine di una corretta ed efficace comunicazione.
  10. Hai il diritto di dire: NON ME INTERESSA: non dobbiamo sentirci in obbligo di fornire spiegazioni per motivare il nostro disinteresse verso qualcosa.

A questo punto possiamo meglio definire il comportamento assertivo come l’atteggiamento comunicativo di chi non si fa influenzare dai falsi miti e conosce quali sono i suoi diritti.
Allo stesso modo possiamo delineare gli scostamenti dal baricentro dell’assertività verso due poli opposti. Infatti chi non è immune da quanto espresso nelle righe precedenti potrà collocarsi o sul versante dell’aggressività o sul versante della passività.
Vediamo nel dettaglio cosa caratterizza uno stile aggressivo e uno stile passivo.

La persona aggressiva.
La persona aggressiva è quella che prevarica i diritti degli altri a favore dei propri.
  • Emette risposte imprevedibili, esplosive, sproporzionate allo stimolo, inadeguate  e causa di sensi di colpa, espressione d'ostilità o rancore dell'altro.
  • Invade lo spazio altrui, umilia e disprezza sistematicamente.
  • Non riconosce i diritti altrui.
In prima battuta una persona con queste caratteristiche può raggiungere i suoi obiettivi ma a lungo termine genera attorno a se isolamento e accende l’aggressività altrui.

La persona passiva.
La persona passiva è quella che mette in secondo piano i propri bisogni per soddisfare quelli degli altri.
  • Dà risposte inadeguate che generano frustrazione, insicurezza, senso di colpa, ansia, isolamento e inibizione.
  • Dà adito a manipolazioni e non consente l'attuazione degli scopi che hanno originato la risposta, favorisce atti d'offesa e prevaricazione dell'altro.
  • Non riconosce e non accetta i propri diritti.
In prima battuta una persona con queste caratteristiche elude uno stato ansioso ma a lungo andare sviluppa un senso di inadeguatezza e perde l’autostima.

Ipotizzando un continuum aggressività-passività la persona assertiva si colloca nel mezzo.

Vediamo adesso quali sono gli aspetti della comunicazione non verbale.
Sincronizzazione: il comportamento non verbale deve essere congruente al comportamento verbale altrimenti lo scarto viene percepito dall’ascoltatore il quale può faticare a cogliere gli aspetti emotivi della comunicazione.
Aspetto fisico: o più in generale l’aspetto di una persona veicolano un messaggio. Bisogna che ci sia coerenza tra il proprio aspetto e il contesto. Un’estetica dissonante può essere indice di aggressività o di scarse abilita sociali e in generale crea del disagio nell’interlocutore.
Contatto oculare: guardare il proprio interlocutore è indice di interesse. Occorre che lo sguardo sia rivolto al volto non fissamente negli occhi, indice di un atteggiamento aggressivo. Lo sguardo invece, che sfugge allo sguardo altrui è sintomo di passività.
Mimica facciale: la mimica facciale deve essere coerente con il contenuto verbale. Buona parte della mimica facciale è dettata dai movimenti della bocca ma più in generale, occhi, sopracciglia, fronte concorrono nel determinare il contenuto paraverbale della comunicazione.
Tono della voce: il tono della voce può spostare il contenuto semantico delle proprie frasi per questo motivo è importante che sia adatto a ciò che si vuole esprimere.
Gestualità: serve da rafforzativo per il contenuto verbale ma è anche un vero è proprio codice capace di veicolare autonomamente delle informazioni.
Spazio sociale: la distanza prossemica, ovvero lo spazio tra me e il mio interlocutore, varia a seconda del contesto culturale e/o personale. Per alcuni individui può essere naturale abbracciare e baciare per salutare per altri può essere già troppo una stretta di mano. Di fondamentale importanza è rispettare le proprie le altrui abitudini per garantire il giusto setting comunicativo.

Vediamo quali sono gli aspetti verbali della comunicazione.
Conversare: si definisce come l’intenzione di stabilire un rapporto umano oltre al mero scambio di informazioni. Si tratta di un piano differente rispetto a quello meramente utilitaristico del linguaggio poiché rientra nell’aspetto ludico della comunicazione.
Cogliere il momento opportuno: inserirsi in una conversazione già cominciata richiede il giusto tempismo. Saper individuare quale sia il momento più adatto per inserirsi in un contesto comunicativo è un’abilità verbale complessa che richiede la valutazione della situazione e la capacità tecnica di saperlo fare nel modo corretto.
Domande aperte e domande chiuse: il tipo di domande che poniamo veicolerà il tipo di comunicazione. Le domande aperte incentivano l’altro a parlare e per questo motivo possono essere degli interruttori in grado di accendere le argomentazione dell’interlocutore. Domande chiuse invece prevedono generalmente risposte secche e generalmente tolgono la possibilità di approfondire il pensiero dell’altro.
Il silenzio: anche se può suonare paradossale il silenzio è una componente molto importante del linguaggio verbale spesso difficile da gestire (soprattutto in ambito clinico). Bisogna imparare a rispettare il silenzio degli altri senza ricorrere a riempitivi troppo spesso arrabattati e conseguentemente banali quando non addirittura fuori luogo. Da un altro punto di vista il silenzio può essere una tecnica di difesa quando la comunicazione ci vede affrontare un interlocutore aggressivo.

Per concludere questo breve sunto sull’assertività vediamo quali sono le tecniche di difesa all’interno della comunicazione.
Disco rotto: ripentendo pacatamente e sistematicamente il proprio punto di vista è possibile interdire l’intento manipolativo dell’interlocutore. Il nostro ruolo consiste nel ripetere la stessa frase in loop come se fossimo un disco la cui puntina si è bloccata in un solco. Questa tecnica è efficace quando gli altri cercano di distrarci dall’obiettivo provocandoci. Rispondere alle provocazioni potrebbe fornire nuove informazioni le quali potrebbero essere usate contro di noi.
Annebbiare: consiste nel rispondere con locuzioni possibiliste come “forse” o “può darsi” che non danno reali informazioni ma letteralmente gettano fumo sulla conversazione. L’impronta poco assertiva di questa tecnica è giustificata se il nostro interlocutore ha un intento chiaramente manipolativo e più in generale se risulta essere pericoloso, inutile o difficile manifestare apertamente i propri pensieri.
Ignorare selettivamente: si tratta di rispondere solo a quelle parti della critica che si possano accettare ignorando quelle manipolative o aggressive. Si tratta del tentativo di mettere in luce gli aspetti salienti della comunicazione oscurando quelli che risultano distruttivi.
Inchiesta negativa: fare domande mirate ad approfondire la natura della critica che ci viene rivolta. A prima vista può sembrare un atto autolesionistico ma in verità specificare i dettagli della critica altrui ci permette di insinuarci all’interno del guscio più emotivo e superficiale e obbliga l’altro a spostare il piano della conversazione ad un livello più razionale che emotivo.
Disarmare la collera: si tratta di lasciare stare l’oggetto del contendere fino al momento in cui l’interlocutore non sarà nello stato utile a parlarne. Viene utilizzata in presenza di una minaccia fisica di fronte alla quale sarebbe inutile cercare la discussione mentre risulta molto più opportuno evitare lo scontro.
Negoziare: è una forma di comunicazione che si verifica tra due parti che cercano un punto di incontro comune che soddisfi il più possibile i bisogni di entrambi.

Bibliografia
Anchisi, R., & Dessy, M.G., (1995). Non solo comunicare. Teoria e pratica del comportamento assertivo. Torino: Edizioni Libreria Cortina

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