martedì 20 dicembre 2011

Memoria di una colonscopia

La ricerca ci insegna che la memoria umana è imperfetta. I nostri ricordi difficilmente rispecchiano i fatti realmente accaduti e a noi manca la consapevolezza di questo scarto. Episodi dolorosi sono interpretati come tali in riferimento all’ultima parte dell’evento. Della serie: l’ultima cosa sarà quella che ricorderete altrimenti definita “effetto recency”.
Se le cose stanno così, perché non cavalcare questo difetto e volgerlo a opportunità?
Donald Redelmeier, Joan Katz e Daniel Kahneman hanno ben pensato di sfruttare questa modalità cognitiva con i pazienti che si sottopongono a colonscopia. Questa procedura prevede che un sondino venga infilato attraverso l’ano del paziente e viene descritta da chi l’ha provata come “tutt’altro che piacevole”.
Ecco cosa hanno fatto.
Premesso che il dolore della procedura è connesso ai movimenti del sondino, ad alcuni pazienti è stata applicata la procedura standard (infila-muovi-sfila) agli altri il sondino è stato lasciato immobile per tre minuti prima di estrarlo.
Neanche a dirlo, quelli che per tre minuti si sono trovati con il sondino immobile infilato nell’ano hanno descritto l’intera procedura come meno sgradevole e sono tornati in numero maggiore e più volentieri a ripetere l’esperienza.
Credo ci sia una morale in questo esperimento.

Bibliografia
Redelmeier, D.A., Katz, J., & Kahneman, D. (2003). Memories of colonscopy: a randomized trial. Pain, 104, 187-194

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