Con il termine assertività si intende la capacità di
esprimere i propri diritti senza calpestare quelli degli altri. Si tratta, in
senso lato, di buona comunicazione, ovvero come e cosa evitare, ma soprattutto
cosa fare, nel contesto relazionale al fine di far passare un messaggio ad
un’altra persona.
Quello che a parole sembra un compito facile è, nella realtà
quotidiana, piuttosto arduo e sono rari i casi in cui la comunicazione sia
veramente efficace. A complicare le normali interazioni sono una serie di false
credenze e di atteggiamenti propri della nostra cultura e di conseguenza
condivisi dalla maggior parte delle persone.
Per prima cosa vediamo in dettaglio quali sono i quattro
miti definiti da Ellis. Si tratta in generale di credenze radicate nelle
persone apprese durante l’educazione familiare.
Il mito della
modestia.
Le persone che aderiscono a questo mito ritengono sia
sconveniente riconoscere i propri meriti in virtù della modestia. Fanno fatica
ad accettare gli elogi anche se meritati e tendono a sminuirsi nelle
circostanze in cui questo accade. Nell’incapacità di rispondere verbalmente
agli apprezzamenti spostano il piano della discussione sui propri aspetti
negativi. Questa dinamica quando reiterata comporta una eccessiva attenzione a
ciò che hanno di sbagliato mettendo in risalto proprio queste ultime
caratteristiche con conseguenze cognitive di inadeguatezza ed emotive di
disagio o disforia.
Il mito dell’ansia.
Queste persone sono letteralmente terrorizzate all’idea che
il proprio stato ansioso possa essere manifesto e di conseguenza inteso dagli
altri. Porre eccessiva attenzione alle proprie sensazioni somatiche, ad esempio
sforzarsi di non arrossire, è un ottimo catalizzatore per l’ansia. L’individuo
si trova proiettato in circolo vizioso paradossale in cui l’ansia è mantenuta e
incrementata proprio dalla sua volontà di placarla. La conseguenza inevitabile
di questa spirale è che lo stato ansioso raggiungerà livelli tali da inficiare
concretamente la prestazione. Il fallimento verrà successivamente vissuto come
una prova della propria inadeguatezza e darà un ottimo spunto per considerarsi
inadeguati.
L’ideale dell’uomo tutto a d’un pezzo insensibile alle lodi
e alle critiche non è un modello necessario. Imparare ad ammettere la propria
condizione ansiosa serve invece da valvola di sfogo per l’ansia stessa e porta
un miglioramento delle performance.
Il mito dell’obbligo.
Queste persone ritengono che sia buona norma non rifiutare
mai dei favori a persone a cui si desidera far piacere e allo stesso tempo che
sia sconveniente domandare favori per se stessi in quanto, proiettando negli
altri il proprio pensiero, pensano che gli altri si sentirebbero obbligati a
soddisfare le richieste. Nel primo caso finiscono con il prodigare eccessivo
tempo ed energie nella soddisfazione di richieste altrui, fatto che in sé
genera frustrazione e porta a pensieri irosi nei confronti del richiedente. Nel
secondo caso l’evitare di domandare aiuto porta a un eccessivo dispendio di
energie in attività che potrebbero facilmente essere svolte se coadiuvati da
altri. Anche in questo caso la persona esce frustrata dalla consapevolezza di
non ottimizzare, o sprecare, il proprio tempo.
In generale si crede che l’altro debba magicamente
comprendere i nostri bisogni evitando di domandare cose che non abbiamo voglia
di fare e/o aiutandoci quando l’aiuto sarebbe opportuno senza che avanziamo
richiesta.
Il mito del vero
amico.
Queste persone ritengono che debba esistere, e che loro
abbiamo, una persona che comprende automaticamente i loro pensieri e bisogni
più intimi senza che questi abbiamo la necessità di comunicarli. L’attribuzione
di questo dono portentoso genera inevitabilmente rabbia e delusione quando le
proprie aspettative vengono tradite. Bisogna tenere fermo in mente che nessuno
può leggerci nei pensieri e di conseguenza i propri pensieri, bisogni, voglie,
desideri vanno sempre esplicitati. Solo rendendo esplicito l’oggetto si può
parlare di esso ed eventualmente avanzare aspettative sui comportamenti altrui.
Un secondo aspetto saliente del relazionarsi con gli altri è
la consapevolezza dei propri diritti. In virtù di chissà quali usanze sociali
crediamo di essere obbligati ad agire secondo una certa etichetta che si
dimostra nei fatti, nociva per la saluta della comunicazione e di conseguenza
di noi stessi.
Ecco di seguito i 10 diritti della persona assertiva.
- Hai il diritto di giudicare il tuo comportamento, pensieri, emozioni e di assumere la responsabilità per l'iniziativa e le conseguenze su te stesso: noi siamo le persone che meglio di chiunque altra conoscono le ragioni del nostro agire.
- Hai il diritto di non offrire ragioni e scuse per giustificare il tuo comportamento: non siamo obbligati a esplicitare agli altri i motivi dei nostri comportamenti, la nostra sfera più intima siamo liberi di condividerla o meno.
- Hai il diritto di giudicare se sei in dovere di trovare le soluzioni ai problemi degli altri: nessuno può obbligarci a prestargli aiuto, sarà nostra responsabilità decidere se agire.
- Hai il diritto di cambiare le tue opinioni: non si deve confondere la coerenza con la stolidità, nella vita si cambia e per quanto cambiare possa deludere le aspettative degli altri è un nostro diritto farlo.
- Hai il diritto di commettere errori e di essere responsabile di essi: possiamo sbagliare purché la responsabilità sia nostra.
- Hai il diritto di dire: NON LO SO: non si deve fingere la conoscenza laddove invece ci è più utile mostrare di ignorare qualcosa.
- Hai il diritto di essere libero dal giudizio degli altri prima di entrare in relazione con loro: non bisogna farsi influenzare dalla benevolenza che gli altri ci mostrano, la benevolenza e l’impegno profuso per soddisfare le esigenze altrui sono due piani distinti del rapporto.
- Hai il diritto di essere irrazionale nel prendere decisioni: è impossibile pretendere di controllare tutte le variabili che concorrono quando si prende una decisione, per questo motivo decidere di scegliere in maniera irrazionale è un diritto.
- Hai il diritto di dire: NON CAPISCO: chiedere spiegazioni è di estrema importanza al fine di una corretta ed efficace comunicazione.
- Hai il diritto di dire: NON ME INTERESSA: non dobbiamo sentirci in obbligo di fornire spiegazioni per motivare il nostro disinteresse verso qualcosa.
A questo punto possiamo meglio definire il comportamento
assertivo come l’atteggiamento comunicativo di chi non si fa influenzare dai
falsi miti e conosce quali sono i suoi diritti.
Allo stesso modo possiamo delineare gli scostamenti dal
baricentro dell’assertività verso due poli opposti. Infatti chi non è immune da
quanto espresso nelle righe precedenti potrà collocarsi o sul versante
dell’aggressività o sul versante della passività.
Vediamo nel dettaglio cosa caratterizza uno stile aggressivo
e uno stile passivo.
La persona aggressiva.
La persona aggressiva è quella che prevarica i diritti degli
altri a favore dei propri.
- Emette risposte imprevedibili, esplosive, sproporzionate allo stimolo, inadeguate e causa di sensi di colpa, espressione d'ostilità o rancore dell'altro.
- Invade lo spazio altrui, umilia e disprezza sistematicamente.
- Non riconosce i diritti altrui.
In prima battuta una persona con queste caratteristiche può
raggiungere i suoi obiettivi ma a lungo termine genera attorno a se isolamento
e accende l’aggressività altrui.
La persona passiva.
La persona passiva è quella che mette in secondo piano i
propri bisogni per soddisfare quelli degli altri.
- Dà risposte inadeguate che generano frustrazione, insicurezza, senso di colpa, ansia, isolamento e inibizione.
- Dà adito a manipolazioni e non consente l'attuazione degli scopi che hanno originato la risposta, favorisce atti d'offesa e prevaricazione dell'altro.
- Non riconosce e non accetta i propri diritti.
In prima battuta una persona con queste caratteristiche
elude uno stato ansioso ma a lungo andare sviluppa un senso di inadeguatezza e
perde l’autostima.
Ipotizzando un continuum aggressività-passività la persona
assertiva si colloca nel mezzo.
Vediamo adesso quali sono gli aspetti della comunicazione
non verbale.
Sincronizzazione:
il comportamento non verbale deve essere congruente al comportamento verbale
altrimenti lo scarto viene percepito dall’ascoltatore il quale può faticare a
cogliere gli aspetti emotivi della comunicazione.
Aspetto fisico: o
più in generale l’aspetto di una persona veicolano un messaggio. Bisogna che ci
sia coerenza tra il proprio aspetto e il contesto. Un’estetica dissonante può
essere indice di aggressività o di scarse abilita sociali e in generale crea
del disagio nell’interlocutore.
Contatto oculare: guardare
il proprio interlocutore è indice di interesse. Occorre che lo sguardo sia
rivolto al volto non fissamente negli occhi, indice di un atteggiamento
aggressivo. Lo sguardo invece, che sfugge allo sguardo altrui è sintomo di
passività.
Mimica facciale: la
mimica facciale deve essere coerente con il contenuto verbale. Buona parte
della mimica facciale è dettata dai movimenti della bocca ma più in generale,
occhi, sopracciglia, fronte concorrono nel determinare il contenuto paraverbale
della comunicazione.
Tono della voce: il
tono della voce può spostare il contenuto semantico delle proprie frasi per
questo motivo è importante che sia adatto a ciò che si vuole esprimere.
Gestualità: serve
da rafforzativo per il contenuto verbale ma è anche un vero è proprio codice
capace di veicolare autonomamente delle informazioni.
Spazio sociale: la
distanza prossemica, ovvero lo spazio tra me e il mio interlocutore, varia a
seconda del contesto culturale e/o personale. Per alcuni individui può essere
naturale abbracciare e baciare per salutare per altri può essere già troppo una
stretta di mano. Di fondamentale importanza è rispettare le proprie le altrui
abitudini per garantire il giusto setting comunicativo.
Vediamo quali sono gli aspetti verbali della comunicazione.
Conversare: si
definisce come l’intenzione di stabilire un rapporto umano oltre al mero
scambio di informazioni. Si tratta di un piano differente rispetto a quello
meramente utilitaristico del linguaggio poiché rientra nell’aspetto ludico
della comunicazione.
Cogliere il momento
opportuno: inserirsi in una conversazione già cominciata richiede il giusto
tempismo. Saper individuare quale sia il momento più adatto per inserirsi in un
contesto comunicativo è un’abilità verbale complessa che richiede la valutazione
della situazione e la capacità tecnica di saperlo fare nel modo corretto.
Domande aperte e
domande chiuse: il tipo di domande che poniamo veicolerà il tipo di
comunicazione. Le domande aperte incentivano l’altro a parlare e per questo
motivo possono essere degli interruttori in grado di accendere le
argomentazione dell’interlocutore. Domande chiuse invece prevedono generalmente
risposte secche e generalmente tolgono la possibilità di approfondire il
pensiero dell’altro.
Il silenzio:
anche se può suonare paradossale il silenzio è una componente molto importante
del linguaggio verbale spesso difficile da gestire (soprattutto in ambito
clinico). Bisogna imparare a rispettare il silenzio degli altri senza ricorrere
a riempitivi troppo spesso arrabattati e conseguentemente banali quando non
addirittura fuori luogo. Da un altro punto di vista il silenzio può essere una
tecnica di difesa quando la comunicazione ci vede affrontare un interlocutore
aggressivo.
Per concludere questo breve sunto sull’assertività vediamo
quali sono le tecniche di difesa all’interno della comunicazione.
Disco rotto:
ripentendo pacatamente e sistematicamente il proprio punto di vista è possibile
interdire l’intento manipolativo dell’interlocutore. Il nostro ruolo consiste
nel ripetere la stessa frase in loop come se fossimo un disco la cui puntina si
è bloccata in un solco. Questa tecnica è efficace quando gli altri cercano di
distrarci dall’obiettivo provocandoci. Rispondere alle provocazioni potrebbe
fornire nuove informazioni le quali potrebbero essere usate contro di noi.
Annebbiare: consiste
nel rispondere con locuzioni possibiliste come “forse” o “può darsi” che non
danno reali informazioni ma letteralmente gettano fumo sulla conversazione.
L’impronta poco assertiva di questa tecnica è giustificata se il nostro
interlocutore ha un intento chiaramente manipolativo e più in generale se
risulta essere pericoloso, inutile o difficile manifestare apertamente i propri
pensieri.
Ignorare
selettivamente: si tratta di rispondere solo a quelle parti della critica
che si possano accettare ignorando quelle manipolative o aggressive. Si tratta
del tentativo di mettere in luce gli aspetti salienti della comunicazione
oscurando quelli che risultano distruttivi.
Inchiesta negativa: fare
domande mirate ad approfondire la natura della critica che ci viene rivolta. A
prima vista può sembrare un atto autolesionistico ma in verità specificare i
dettagli della critica altrui ci permette di insinuarci all’interno del guscio
più emotivo e superficiale e obbliga l’altro a spostare il piano della
conversazione ad un livello più razionale che emotivo.
Disarmare la collera:
si tratta di lasciare stare l’oggetto del contendere fino al momento in cui
l’interlocutore non sarà nello stato utile a parlarne. Viene utilizzata in
presenza di una minaccia fisica di fronte alla quale sarebbe inutile cercare la
discussione mentre risulta molto più opportuno evitare lo scontro.
Negoziare: è una
forma di comunicazione che si verifica tra due parti che cercano un punto di incontro
comune che soddisfi il più possibile i bisogni di entrambi.
Bibliografia
Anchisi, R., & Dessy, M.G., (1995). Non solo comunicare. Teoria e pratica del comportamento assertivo. Torino:
Edizioni Libreria Cortina
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