Immaginate
di dover riassettare una camera in disordine in cui il pavimento è ricoperto di
vestiti, libri e oggetti vari. Vinto lo sconforto iniziale provocato dal
disordine agghiacciante procederete a suddividere gli oggetti in base ad un
qualche criterio di categorizzazione.
Categorizzare vuol dire assegnare un percetto ad un concetto. Quindi ogni oggetto di carta composto da fogli verrà
categorizzato nel concetto di libro mentre ogni oggetto di stoffa che posso
indossare verrà categorizzato nel concetto di vestito o indumento. In generale
un concetto è un insieme di caratteristiche associate a ciascuna categoria.
A
cosa ci serve questo processo?
Se
dovessimo riordinare la stanza considerando ogni oggetto diverso da tutti gli
altri probabilmente non finiremmo mai. Raggruppare gli oggetti invece, ci
permette di organizzare l’ambiente che ci circonda in maniera più rapida.
Inoltre se di ogni oggetto che osserviamo dovessimo studiare la funzione
passeremmo l’intero arco della giornata a svolgere questo compito per ogni
oggetto che ci si presenta. Ascrivere un oggetto ad un concetto mi permette di
inferire che esso avrà tutte le caratteristiche proprie di quel concetto.
I
concetti servono a dividere il mondo in unità manipolabili. Una volta
categorizzato un oggetto all’interno di un concetto gli attribuiamo
automaticamente le caratteristiche proprie di quel concetto (economia
cognitiva) e siamo in grado di predire informazioni su di esso (potere
predittivo). Ad esempio potremmo immaginare di acquistare un oggetto di design
moderno. Pur sconcertati (e attratti) dalla sua forma di rana lo categorizziamo
come cavatappi. Allora automaticamente sapremo che l’oggetto in questione
possiede, anche se celata, una spirate appuntita e un anello d’acciaio e potrà
tornarci utile per aprire le bottiglie.
Per
dirla con le parole di Anderson (1991), “i concetti di permettono di andare
oltre all’informazione percepita”.
Potremmo
obiettare che categorizzare il cavatappi/rana come cavatappi sia stato più
difficile che se il cavatappi avesse avuto la forma classica che tutti
conosciamo. È vero. Si chiama prototipo del concetto l’insieme delle caratteristiche
descrittive dei migliori esemplari del concetto. Il prototipo è ovviamente
soggettivo, potremmo definire come prototipo di cavatappi la prima immagine
mentale di cavatappi che ci viene in mente. Tanto più un cavatappi che
incontreremo nella vita reale sarà simile (condividerà caratteristiche) al
cavatappi che abbiamo in testa tanto più rapido sarà il riconoscimento.
Ma
come facciamo allora a riconoscere come cavatappi un oggetto molto dissimile da
quello proto tipico? Questo riconoscimento è possibile sulla base di una serie
di caratteristiche imprescindibili al concetto di cavatappi che definiamo nucleo del concetto. In pratica le
caratteristiche del prototipo sono caratteristiche importanti ma non perfetti
dell’appartenenza al concetto mentre le caratteristiche del nucleo sono quelle
essenziali.
Spesso
nella quotidianità il nucleo è inaccessibile (pensiamo di dover definire un uccello),
in questo caso si parlerà di concetto fuzzy
(scarsamente definito). In questo caso la categorizzazione avverrà sulla base
dei prototipi. Un uccello come il pettirosso sarà facilmente riconosciuto come
appartenente a questa categoria concettuale mentre il pinguino richiederà
maggiore elaborazione cognitiva.
Il
grado di tipicità è proprio la
vicinanza dell’oggetto percepito con il prototipo del concetto.
Sappiamo
che i concetti sono tra loro collegati. Se prendiamo il cavatappi, esso fa
parte del concetto più ampio di “utensile da cucina” che a sua volta rientra
nella categoria ancora più ampia degli “utensili”. Noi possiamo identificare un
oggetto a vari livelli ordinati gerarchicamente tra loro. Il livello base per un dato oggetto è il
livello in cui lo categorizziamo per primo. Empiricamente sarebbe il nome che
pronunceremmo per primo se ci chiedessero di nominare quell’oggetto. Qualitativamente
il livello base sembra essere quello con le caratteristiche più distintive: cavatappi
definisce il concetto di “cavatappi” più precisamente di quanto farebbe il
concetto “utensile da cucina”.
Due processi di
categorizzazione.
Utilizziamo
tecniche di categorizzazioni distinte a seconda che il concetto sia ben
definito o indistinto (fuzzy). In generale le tecniche a nostra disposizione
sono la somiglianza con il prototipo e l’utilizzo di regole.
Somiglianza con il
prototipo: si
tratta di confrontare un oggetto percepito con le nostre immagini in memoria. Il
concetto in memoria che rimanda all’immagine più prossima all’oggetto percepito
verrà utilizzato per quest’ultimo. Questa tecnica è più veloce è funziona sia
con concetti ben definiti come “nonna” che con oggetti meno definiti come “uccello”.
Utilizzo di regole:
se
desideriamo essere precisi possiamo verificare una regole di
inclusione/esclusione dell’oggetto percepito da un concetto. “Nonna” per
esempio può essere definita in base alla somiglianza con un prototipo (una
signora anziana con i capelli grigi) oppure
definendola come “madre di una madre”. È chiaro che non potremmo
utilizzare regole in presenza di qualcosa di indefinito poiché non sapremmo
quale regola applicare. Se cerchiamo di definire “uccello” potremmo provare a
dire che vola o che ha le piume ma entrambe le affermazioni non sono sempre
vere. Nemmeno dire che fa le uova risulta distintivo poiché non solo gli
uccelli fanno le uova. Quindi dovremo in questo caso accontentarci della
somiglianza con il prototipo e di conoscere quali esemplari dissimili da
prototipo ascrivere ugualmente a questa categoria.
Bibliografia
Anderson, J.R., (1991). The adaptive nature of human
categorization. Psychological Rewiew, 98,
409-429
Atkinson,
R.C., & Hilgard, E.R., (2006). Introduzione
alla Psicologia. Padova: Piccin
Eysenck, M.W., & Keane M.T., (1998). Manuale di Psicologia Cognitiva. Milano: Edizioni
Sorbona
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