Capitolo 1 – Conoscenza, influenza
e interazione
Rappresentare, cioè rendere presente
ciò che è assente, è centrale nello sviluppo ontogenetico del
bambino, è alla base della costruzione del linguaggio e
dell’acquisizione della parola, è cruciale allo stabilirsi delle
interrelazioni che costituiscono l’ordine sociale ed è il
materiale attraverso il quale si formano le culture e si trasformano
nello spazio e nel tempo. Le rappresentazioni non sono immagini della
realtà e neanche puramente costruzioni mentali dell’individuo.
Esse coinvolgono un lavoro simbolico che emerge dalle interrelazioni
tra il Sé, gli altri e gli oggetti del mondo, e così hanno il
potere di significare, costruire significati, creare realtà. Per
questo è importante studiare sia come le rappresentazioni si
costituiscano nel corso dello sviluppo ontogenetico del bambino, sia
comprendere il processo sociale che le legano alle disposizioni
istituzionali, all’azione sociale, alle dinamiche attive della vita
sociale, dove i gruppi e le comunità si incontrano, comunicano e si
scontrano.
La psicologia sociale delle
rappresentazioni
Lo studio delle rappresentazioni in
psicologia sociale deve passare attraverso la considerazione del
significato e della funzione simbolica nella costruzione della
realtà. Attraverso le rappresentazioni gli individui e le comunità
non dipingono semplicemente un oggetto dato ed uno stato delle
relazioni nel mondo, ma dischiudono chi essi sono e i temi che sono
per loro importanti, le interrelazioni in cui sono coinvolti e la
natura dei mondi sociali in cui abitano. Significato e
contesto sociale forniscono le lenti teoretiche attraverso le
quali è possibile cercare le risposte alle domande legate alla
produzione e trasformazione della conoscenza, le sue relazioni ai
contesti sociali e culturali e la diversità delle forme che assume
nelle sfere pubbliche contemporanee. Attraverso questa prospettiva è
possibile riconsiderare alcuni temi cardine della psicologia sociale:
- Relazione soggetto-oggetto: la storia della psicologia ha evidenziato una divisione netta tra soggetto e oggetto costruendo una dicotomia che ha condotto alla definizione di teorie puramente oggettiviste o puramente soggettiviste. Le origini di tale divisioni sono, secondo l’autrice, da rilevare nell’opera cartesiana e dalla contrapposizione tra res extensa e res cogitans. Questo lavoro intende studiare lo spazio di mediazione nel cui mezzo (in between) si attuano le relazioni intersoggettive e interoggettive.
- Psicologia sociale della conoscenza: la rappresentazione è qui descritta come un processo di costruzione ad architettura triangolare: soggetto-altro-oggetto. Le rappresentazioni costituiscono tutta la conoscenza che un individuo ha e può avere.
- La razionalità della conoscenza e la sua diversità: la tradizione ha cercato di distinguere le modalità di acquisire la conoscenza in modo gerarchico o distinguendo tra idee primarie e secondarie. L’abbandono di una visione esclusivamente mentalista della rappresentazione può portare a considerare ulteriori modalità di organizzazione delle conoscenze e delle diversità riscontrabili nei diversi contesti.
Gli autori di psicologia evolutiva che
si sono occupati del processo di genesi delle rappresentazioni sono
Piaget e Vygotski. Le teorie di questi autori, pur essendo state
messe spesso in contrasto, hanno tre punti in comune: il metodo
genetico, il primato delle relazioni sé-altri, l’importanza della
funzione simbolica. Durante lo sviluppo le rappresentazioni si
formano in quello spazio potenziale tra il sé e l’altro, tra il
principio di piacere e il principio di realtà. Anzi la
rappresentazione simbolica costruisce questo stesso spazio fondendo
le dimensioni e creando conoscenza. Due processi che derivano dallo
spazio potenziale e sono in funzione della rappresentazione simbolica
sono la condensazione e il dislocamento. La
condensazione si riferisce all’abilità della funzione simbolica di
condensare e unire cose diverse, eventi e persone così da rientrare
in un’unica rappresentazione simbolica. Il dislocamento procede
invece spostando le cose da una rappresentazione ad un’altra in
base alla volontà razionale o emotiva.
La rappresentazione ha una natura
polivalente: è una costruzione ontologica, epistemologica,
psicologica, sociale, culturale e storica. Ontologica, perché
gioca un ruolo costitutivo nell’emergenza della soggettività umana
e dell’identità; epistemologica, perché costruisce
conoscenza sugli oggetti, su di sé e sugli altri; psicologica,
perché mette in gioco processi legati all’area cognitiva ed
emotiva; sociale, culturale e storica perché è
nell’intersoggettività che trova la sua condizione di possibilità
e l’oggetto di rappresentazione viene dalla comprensione del
momento culturale e storico.
Capitolo 2 – Rappresentazioni
sociali e la diversità della conoscenza
(vedi teoria delle rappresentazioni
sociali di Moscovici su Palmonari) Lévy-Bruhl riconsiderò gli studi
di Durkheim partendo dal presupposto che il pensiero degli uomini
appartenenti alle culture esotiche non fosse localizzabile ad un
livello inferiore di sviluppo intellettuale, ma dovesse essere
considerato semplicemente come un modo diverso di pensare, come in
ogni comunità esistono modi diversi di vedere le cose. Lévy-Bruhl
cominciò il lavoro completato poi da Geertz di cercare l’unità
tra le diversità: descrisse le diversità nelle culture umane per
poter dimostrare la tesi che la mente umana è in realtà uguale in
tutte le culture, ma è il contesto che la porta ad evolversi in un
dato modo. Identificò alcune rappresentazioni collettive comuni alle
culture e descrisse il principio di partecipazione come condizione
fondamentale della costruzione della rappresentazione.
L’impatto della visione di Piaget sul
lavoro di Moscovici è vasto e l’ha portato a considerare la
psicologia sociale come una scienza di sviluppo e cambiamento, più
che una reazione ad ambienti fissi. Nel lavoro di Piaget sono
rintracciabili influenze di Durkheim e di Lévy-Bruhl e i punti
principali si possono riassumere nel seguente modo: 1. Afferma che la
logica non è innata ma sociale; 2. La definisce come uno stato
caratteristico della fine dello sviluppo, uno stato di equilibrio; 3.
C’è una continuità funzionale nello sviluppo concepito come una
marcia progressiva; 4. Le strutture successive che costituiscono lo
sviluppo sono eterogenee.
Vygotsky invece considera lo sviluppo
non in modo lineare come Piaget, ma teorizza una trasformazione
discontinua tra modalità di conoscenza, in cui il processo
principale è la coesistenza, più che la sostituzione. Prendendo
come esempio il linguaggio, egli osservò come seppur vi siano
infinite possibili linguaggi al mondo, tuttavia tutte le comunità
condividono la capacità di parlare: per questo si deve considerare
come la conoscenza sia veicolata dalle influenze sociali e culturali
che modellano abilità innate e che integrano senza sosta le
informazioni ricevute con quelle già assimilate.
Il lavoro di Freud getta uno sguardo
all’inconscio ed in particolare al processo di interiorizzazione
attraverso il quale le conoscenze di tanti diventano la conoscenza di
uno, e dal conscio entrano nell’inconscio. Questo processo, che
secondo l’autore comincia quando il bambino comincia a porsi delle
domande sui tabù del mondo degli adulti, compongono la grammatica
primitiva delle modalità di rappresentazione dell’individuo.
Quindi, affermare che la conoscenza si
forma legata al contesto socio-culturale in cui l’individuo è
inserito, porta a considerare che la conoscenza varia a seconda dello
spazio e del tempo. Allo stesso modo cambiano le strutture psichiche
e cognitive. Il quesito di come l’individuo forma questa conoscenza
ha portato Moscovici a formulare il concetto di polifasia
cognitiva per spiegare l’eterogeneità del campo
rappresentazionale. Ha introdotto questo concetto sotto forma di
ipotesi per comprendere come diversi tipi di razionalità fossero
coinvolti nella costruzione della rappresentazione. Diverse modalità
di conoscenza dipendono dal contesto in cui sono prodotte e sono
rivolte a rispondere a diversi fini. Nelle comunità (e
nell’individuo) diverse razionalità che interagiscono con le
circostanze situazionali co-producono diverse conoscenze che
coesistono in equilibrio. Il concetto di polifasia cognitiva risponde
esattamente a questo mosaico. La conoscenza deve essere quindi
considerata come plurale e plastica, una forma che emergere in modo
continuo e dinamico capace di disporre di tante razionalità quante
sono richieste dall’infinità varietà delle situazioni
socioculturali che caratterizzano l’esperienza umana.
Capitolo 3 – Conoscenza, comunità
e sfere pubbliche
Se per la maggior parte degli individui
la comunità è un’entità data, d’altra parte lo stare
insieme è un lungo e laborioso processo intensivo che necessita
di essere costruito: è una conquista. Per agire in concerto è
necessario comprendersi, comunicare, costruire un linguaggio, formare
gruppi, dividere compiti, conoscere gli altri e mostrare se stessi.
Comunità: la comunità non è
né una totalità omogenea, né un’aggregazione di individui
monadi. È un campo di tensioni ed interrelazioni che rimane in un
tutto indefinito, sempre aperto al cambiamento da dentro e da fuori.
Per teorizzare la comunità occorre partire dal concetto di confini.
L’approccio socio-psicologico necessita di indagare quei confini
rappresentati e definiti simbolicamente dagli attori sociali. la
comunità produce i confini attraverso attività relazionali
all’interno della comunità, da coloro che si sentono parte della
comunità, e all’esterno tra comunità diverse. La comunità
produce conoscenza comune che offre nodi di connessione da cui
l’esperienza di appartenenza emerge. Le narrazioni dei singoli sono
così intrecciate con le narrazioni comunitarie che le storie dei
singoli raccontano la storia di una comunità. Allo stesso modo,
quando si raccontano gli eventi di una comunità, ogni individui può
trovare in essi una parte di sé. Questi sentimenti di collegamento
sono alla base dell’esperienza di appartenenza. Se la conoscenza
comune della comunità può sembrare data e disponibile, allo stesso
tempo i suoi orizzonti sono costruiti quotidianamente. Questa
conoscenza comune nella vita quotidiana viene negoziata dagli attori
attraverso il processo che Habermas definisce comprensione
condivisa del mondo. La comunità si basa su un senso di
uguaglianza tra i suoi membri (così come di differenza rispetto ai
non-membri); questa uguaglianza nasce dalla memoria sociale
della comunità, che costituisce i possibili repertori di linguaggio,
credenze sociali e significati simbolici disponibili nel presente,
organizzati solitamente come l’identità culturale e le
rappresentazioni sociali della comunità. Attraverso le narrazioni
che si legano gli eventi in una storia coerente che tesse la trama
dell’identità sociale. La narrazione è uno dei mezzi fondamentali
attraverso cui le comunità comprendono il loro passato e il loro
presente e progettano i loro obiettivi per il futuro. la capacità
di una comunità di crescere dal passato, di dare un significato al
presente e di proiettarsi in un futuro dipende molto dallo scarto che
sussiste tra le narrazioni possibili e quelle che possono
effettivamente essere comunicate all’interno della comunità. Ciò
conduce allo studio delle sfere pubbliche e come queste
contribuiscono alla produzione dei significati.
Sfere pubbliche: uno spazio
comune a tutti i membri della comunità e dove la vita comunitaria
diventa visibile e conosciuta alla comunità stessa. Le sfere
pubbliche sono punti di incontro, siti di connessione e comunicazione
la cui caratteristica principale è produrre visibilità, così che i
temi di interesse comune possono emergere e la pluralità delle
prospettive che costituiscono la comunità può essere trattata e
risolta. In questo senso la sfera pubblica è uno spazio potenziale
(vedi cap. 2). È la comunità stessa che crea le sfere pubbliche e
queste possono essere di diverso tipo; comprenderle può essere un
importante strumento diagnostico per comprendere come funziona la
comunità stessa. Il termine pubblico indica due fenomeni
interrelati ma non identici: indica qualcuno che può essere visto e
sentito da tutti; indica il mondo che è comune a tutti noi e
distinto dal nostro spazio privato. La condizione che pone la parola
e l’azione all’interno di questa partecipazione pubblica è la
pluralità umana, riferita sia all’eguaglianza e alla
distinzione, sia alla somiglianza e alla differenza. La pluralità ha
il suo luogo nel pubblico e compone le fondamenta della comunità,
insieme alla parola, alle azioni, alla diversità, al dialogo e al
consenso. Il dialogo e l’argomentazione sono procedure per
trattare le prospettive e la pluralità. Le differenze di prospettive
e la pluralità devono essere considerate nella comunità al fine di
creare consenso e orientare l’azione comune (un esempio è la sfera
pubblica borghese di Habermas, la cui critica maggiore è il fatto
che comunque tali sfere pubbliche non garantivano accessibilità e
pubblicità per tutti).
Conoscenza e sfere pubbliche: si
può dire che la teoria di Moscovici nasce dal confronto tra la
teoria della perfetta conformità sociale di Durkheim e la teoria
dell’innovazione e dell’influenza delle minoranze di Weber.
L’autore infatti localizza nell’innovazione, nell’importanza
degli individui e nelle trasformazioni delle minoranze attive le
forze che possono imporre la forma e la natura della sfera pubblica.
Le rappresentazioni collettive rappresentano la tradizione e la
conformità della comunità e contribuiscono alla formazione del
sentimento di coesione. Esse comprendono le idee, emozioni, rituali e
costumi messi in atto e portati avanti dagli individui, ma su cui gli
individui stessi hanno poco controllo. In questo tipo tradizionale di
sfera pubblica, le rappresentazioni collettive emergono come un tipo
di conoscenza quotidiana che tutti i membri condividono e che opera
come una forza legante: sono prodotte attraverso condizioni di grande
asimmetria tra i partecipanti; sono fortemente legate e dipendenti
dai rituali, e le condizioni per i loro cambiamenti sono minime.
Tuttavia il contesto attuale ovviamente è molto più permeabile alle
pressioni diverse dalle rappresentazioni collettive, e le comunità
oggi infatti è molto difficile che vivano solo di esse
(detradizionalizzazione – un processo che squarcia la sfera
pubblica e la apre a pratiche di contestazine, argomentazione e
dibattito). Moscovici parla di disincanto del mondo
(ispirandosi a Weber), indicando il duplice aspetto di perdita della
“magia” e della “fede” verso le utopie e le speranze. In
questo contesto appunto, pur riconoscendo l’importanza delle
rappresentazioni collettive, ne analizza i limiti e si concentra
invece sull’evoluzione e sul cambiamento delle conoscenze nelle
comunità. Da qui sostiene quindi che la religiosità e l’automatismo
della riproduzione dei rituali ha lasciato spazio ad un clima di
confronto (basato sul ruolo centrale della linguistificazione
della vita quotidiana) su ciò che le comunità ritengono rilevante
basato sulla parità e sull’equità nella sfera pubblica. In questo
modo le rappresentazioni collettive si presentano come date, ma
sottoposte continuamente ai diversi punti di vista, alla negoziazione
e contraddizione in un continuo processo di costruzione simbolica.
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